CI SONO LE SUORE

È stato anche il giorno 8 marzo a invogliarmi a dedicare questo articolo alle Suore con cui condivido la pastorale parrocchiale. Il santo Papa Giovanni Paolo II diceva che le donne hanno un genio tutto speciale che illumina il mondo. Anche nella vita di una parrocchia trasmettono un tocco di femminilità che ingentilisce il tratto, a volte severo, dei sacerdoti. Anche qui si può parafrasare la frase biblica: ”Non è bene che l’uomo sia solo”


A HUACHO DAL 2004

Si chiamano Hermanas de la Compañia del Sagrado Corazòn de Jesùs, congregazione approvata in Perù nel 1986, sono 21 professe, un piccolo gruppo in crescita. Hanno come carisma specifico la formazione catechistica specialmente nelle parrocchie. “Lavoriamo praticamente con il Vangelo in mano”. Tutte hanno una solida base teologica, sono laureate in Teologia, alcune anche nelle Università di Roma.
Hanno case in Roma, Cuba, Lima, Callao, Chimbote e naturalmente in Huacho.
Al mio arrivo nel 2007 mi venne incontro suor Mila – attuale Madre Generale - con un sorriso dandomi il benvenuto in un buon italiano, con un leggero accento spagnolo. Con suor Ilse, lei resta una colonna portante del gruppo che ha avuto vari cambi, ma sempre tenendo il numero 5 di presenze.


UNA SIGLA NUOVA: ESER

Ogni martedì sera vedevo una pacifica invasione di un centinaio di professori e mi chiedevo: “Ma chi sono, da dove vengono, cosa fanno qui?” Sono professori di religione o di altre materie nelle scuole parrocchiali e qui ricevono dal gruppo di suor Mila una formazione per la “Scuola Superiore di Educazione Religiosa”, con tanto di riconoscimento statale valido per il punteggio nelle graduatorie. Si unisce l’utile all’attenzione pastorale completa con adorazione eucaristica, ritiri, senza dimenticare la preparazione agli impegnativi esami finali statali. Da questi contatti scolastici nascono quelli personali in un dialogo sereno sui temi di coppia, di famiglia e di lavoro. In questo le suore sono da ammirare per la disponibilità di orari e di tempo che dedicano. Il vantaggio finale, indiretto ma sostanzioso, arriva così a tanti alunni e a tante famiglie che riescono a superare le crisi grazie ai loro saggi consigli.


CON 250 PRIME COMUNIONI

La parrocchia della Cattedrale non è grande territorialmente, ma è aperta a tutti, anche a chi viene da 15 km per assicurarsi una buona preparazione con la catechesi della Prima Comunione e della Cresima. Abbiamo numeri alti rispettivamente di 250 ragazzi e 150 adolescenti dai 14 ai 18 anni. Qui ci vuole fede, passione, pazienza, capacità organizzative, disciplina e tanto amore ai singoli includendo le loro famiglie, non sempre interessate e coinvolte. Tocca alle suore preparare i catechisti che arrivano al numero di 30, cercarli, selezionarli e incoraggiarli di domenica in domenica. Il programma è fisso: una ora e mezzo di catechismo vero e proprio, un break di 15 minuti e soprattutto la Messa tutta per loro, a mezzogiorno per i piccoli e alle 17 per gli adolescenti. Ci può scappare un po’ di nervosismo nelle ultime due settimane di novembre che precedono la data, centrale in tutto il Perù, della festa della Immacolata, 8 dicembre, dedicata ai sacramenti dell’iniziazione. La pena loro è anche mia. È che da quel giorno quasi tutti volano via, sembra con sollievo dei genitori che non devono più portarli in chiesa. Le suore conservano la loro gioia sempre pronte a riaccogliere le pecorelle disperse.


LA PASTORALE GIOVANILE

Anche qui per le suore si apre un campo grande che va dall’infanzia missionaria ai giovani universitari, tenendo conto anche degli innamoramenti che nascono sotto il campanile. È qui che ogni suora dimostra la sua capacità nel creare contatti, nel proporre ideali, favorire l’armonia sempre per arrivare al cuore, alla mente e ai gusti di piccoli e grandi. Il loro carisma, fondato sul Sacro Cuore di Gesù, è fonte inesauribile per tutto questo.
Per i ragazzi è nato il gruppo “Infanzia Missionaria”, con giochi, canti, disegni, teatrini, preghiere e colori per arrivare al verde dell’Africa, al rosso dell’America, al bianco dell’Europa, al giallo dell’Asia e all’azzurro dell’Oceania. Il tutto condito con allegria in mezzo alla irrequietezza dei bimbi.
Per gli adolescenti si sviluppa il gruppo “Senza Frontiere” con alla base lo spirito missionario vissuto nella realtà cittadina. Qui spicca la capacità di saper valorizzare i talenti di ogni giovincello o signorinella nel cantare, ballare, suonare uno strumento, formare un piccolo coro per la Messa dei giovani e animare i momenti di festa della parrocchia. Mi è piaciuto tanto ciò che hanno fatto per il mio 78esimo compleanno con una scena evangelica e una danza quasi sfrenata. Una iniziativa natalizia li ha portati all’incontro di almeno 20 poveri che vivono per strada, hanno parlato con loro, li hanno ascoltati, hanno offerto un pranzo condito dal loro sorriso giovanile. Per l’Ottobre Missionario hanno stimolato la parrocchia con una gigantografia di 5x2 metri unendo la mia esperienza in Africa con il loro essere missionari in città. Non manca la genialità con la presenza costante e sorridente di suor Rocio che in questi giorni è stata destinata a Chimbote, lasciando una preziosa eredità.
Non posso finire queste righe senza accennare a suor Ilse che per anni continua la sua presenza in chiesa alla mia Messa delle 7.30. È sempre in prima fila per guidare i canti, sempre appropriati con la liturgia del giorno. Purtroppo il suo quartetto di fedelissimi cantori si è assottigliato per gli acciacchi dell’età e il volo verso il cielo; ne sono rimasti due, ora rafforzati da un giovane chitarrista. La fede non si spegne, la parrocchia può sempre contare su anime semplici, generose e soprattutto ricche di fede vera, senza fronzoli.


LE SUORE ITALIANE DI PARMA

Alla Cattedrale arrivano anche loro, quasi tutte le mattine alle 7.30 per la Messa. Si chiamano “Le Piccole Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria”, vengono da Parma, vivono su una collina periferica della città, lottando con la scarsità dell’acqua e tanta polvere. Come la gente del posto, anche loro sono cresciute a poco a poco e hanno dato una spinta alla comunità locale. Tre ruotano attorno agli 80 anni, ottime cuoche e coraggiose sognatrici. Specializzate nella pastorale carceraria, si muovono come gazzelle per tutti i sei padiglioni, una parola a uno, un sorriso ad un altro, una coroncina del Rosario, una mezz’ora di catechismo e avanti. Molto impegnate anche nel campo sociale per dare dignità e allegria a chi ancora vive in case precarie con mura di fango secco e il tetto di stuoie di giunco che lascia passare anche poche gocce di pioggia. Qui hanno costruito “La casa dell’allegria”, che in realtà è una scuola professionale da dove escono cuochi, esperti in informatica, estetiste, sarte di alta moda, sempre con l’allegria come base. Anche la mia cuoca si sta perfezionando lì, con un vantaggio mio personale per gli squisiti piatti che mi prepara. So anche che fanno un lavoro pastorale camminando nella polvere, ora che il trio si è allargato con una suorina congolese e una cilena, ricche di gioventù e cordialità.
Proprio un anno fa, ho dovuto chiamarle per telefono nel cuore della notte quando un attacco di tipo asmatico mi ha assalito, con la febbre che cresceva pericolosamente. Sono arrivate il più presto possibile e, impressionate del mio stato di salute, mi hanno caricato in macchina per portarmi al Pronto Soccorso distante solo 100 metri da casa. La mia degenza è stata lunga e hanno dovuto aspettare fino a Ferragosto per poter festeggiare con me la tradizionale Pasquetta!


SUOR MARIANA

Da una settimana è tornata in Italia la veterana di tutte le suore italiane della Diocesi di Huacho. Per 16 anni è stata in casa del Vescovo Mons. Santarsiero, attendendolo con squisitezza, non guardando a orari né al numero degli invitati; sapeva far miracoli con la sua autentica pizza napoletana. Era una luce accesa per tutti i sacerdoti di cui conosceva vita, miracoli e difetti. Non mancava mai di telefonarmi o di visitarmi con una torta in mano per poter chiacchierare un po’. Il suo accento salernitano inconfondibile si mischiava con uno spagnolo tutto suo. Mi supera in età e ora anche in acciacchi dopo aver seminato bene e aver lasciato tante suorine nuove a vitalizzare la sua congregazione di Santa Teresina del Bambino Gesù. Posso dire con sincerità che mancherà sia a me che a don Vittorio Ferrari, il suo confessore disponibile anche alle 6 del mattino, prima di prendere il caffè, naturalmente napoletano.


ANELLO DI LUCE ATTORNO AL SOLE

“Padre Antonio, esca in strada e guardi il sole come è strano”. Così mi dice la segretaria alle undici del mattino del 28 febbraio. Non tardo un secondo e noto davvero qualcosa di raro attorno al sole. “Le presto i miei occhiali scuri”. Sì, il sole è un po’ pallido e ha nubi che lo circondano in forma di anello che a sua volta presenta i colori tenui di un arcobaleno. Non ho la macchina fotografica per immortalarlo, corro a casa, ma le nubi si sono già sfilacciate tornando il sole al suo splendore estivo. Ma ora c’è Facebook! Qualcuno è stato più svelto di me e ha colto il momento magico del fenomeno solare. Tento di descriverlo. Sembra la luna tra le nubi o il sole nei momenti di eclisse con la corolla un poco spenta, mentre nubi grigie si sono messe in ordine per formare un cerchio tipo anello che ha alcuni colori dell’arcobaleno. Tutto è avvenuto solo in questa città di Huacho e suoi dintorni, con la durata di trenta minuti.

Sappiamo tutti che gli arcobaleni nascono dopo la pioggia, ma qui non piove mai, cosa sarà allora? Gli scienziati parlano di “nubi molte alte con particelle di ghiaccio in cui la luce si rifrange di 22 gradi, creando una perfetta forma circolare con un anello simile a quello dell’arcobaleno. Le nubi sono a 12 km di altezza”. Qui a Huacho l’umidità dell’Oceano Pacifico si innalza sopra alle montagne delle Ande, si carica dell’umidità del periodo delle piogge formando così nubi con dentro particelle di ghiaccio. Più di così non so dire. Guardate le quattro foto. È stato bello, una cosa veloce, affascinante e serena, più un messaggio di pace che da fine del mondo.

ITALIANO, UNA LINGUA CHE AFFASCINA

Già abbiamo iniziato il decimo anno del corso di italiano “per stranieri”. In verità lo straniero qui sono io che non dimentico la lingua materna, anzi ho sempre voluto condividerla prima con i discendenti di immigrati italiani e poi con chi, per motivi di studi universitari o semplicemente per amore alla cultura, vuole impararlo.
Si comincia con i bambini nel tempo delle vacanze scolastiche nei mesi di gennaio e febbraio. Quest’anno un piccolo miracolo: hanno iniziato in 14 per finire in 18 con un pranzo in casa mia a base di lasagne e risotto al pesto. Hanno divorato tutto e in fretta. Il corso è durato sei settimane, tutte le mattine da lunedì a venerdì, studiando con allegria sulla base del testo: “Anch’io parlo italiano”. Con la maestria di Maribel e l’appoggio di Carolina i ragazzi stavano attenti, interessati con qualche piccola immancabile marachella, soprattutto con i tre maschietti. Questa volta però è mancata la danza della tarantella, erano troppo rigidi nei movimenti. Non così con il canto specialmente quello della “Parola magica”, cioè il grazie.

Mi hanno invece fatto sudare e sospirare i grandi, lenti nell’iscriversi, tanto da sentirmi obbligato a lanciare un allarme rosso sul Facebook dell’Istituto San Francesco di Assisi. La scossa elettrica ha avuto effetto muovendo il conteggio del primo anno da 15 a 35 al momento dell’ apertura dell’anno scolastico che qui va da marzo a dicembre. Ora se la barca va, lasciala andare... come canta Orietta Berti. Si è formato nel cammino un nuovo gruppo di professori, nati e cresciuti in casa. Resto come Direttore con l’incarico di sostenere la parte storico-culturale della lingua. Il primo appuntamento sarà per la festa nazionale del 25 Aprile, che dovrò leggermente anticipare per non perdere il volo verso l’Italia.

HO SCRITTO UN LIBRO: IL MIO PERÙ

Le pause obbligatorie per la mia salute nel 2018 le ho sfruttate per impaginare un libro per il pubblico italiano. Con la base del mio sito internet http://www.padreantoniocolombo.com ho estrapolato gli articoli dal 2014 al 2018 per farne un libro dal titolo “Il mio Perù”. La piccola ma ben esperimentata casa editrice famigliare con il logo “Longe prospicio” ha fatto il resto. Ultimo tocco la presentazione, anche questa fatta in casa, con la nipote giornalista Giò Giò. In anteprima ecco la presentazione.
Spesso s’immagina il giornalista o lo scrittore a lavorare seduto al computer, nella tranquillità di casa o al proprio posto in redazione. Invece, molto spesso ci si ritrova a scrivere nei posti più impensati.
Una volta mio zio don Antonio Colombo, l’autore di questo libro, mi disse che il posto più bello in cui aveva scritto era stato sotto un albero, in Zambia, guardando lo scorrere del fiume Zambesi, prendendo appunti con la stenografia Gabesber, nell'anno 1982. “Gli ippopotami borbottavano a poche decine di metri”, ricordava.

Che c’entra lo Zambia, nella prefazione di un libro sul Perù? C’entra eccome. Il suo primo libro don Antonio lo scrisse nel 1986 e raccontava i suoi anni da missionario a Kafue, in Africa. Di anni ne sono passati trentatré e i libri sono diventati sei, di cui quattro dedicati alla sua nuova patria d’adozione. “Il mio Perù”, lo chiama proprio così e questo ha scelto come titolo. Una nazione e un popolo che hanno saputo conquistargli il cuore e gli hanno fatto venire ancora più voglia di scrivere, per farli conoscere non solo a noi famigliari o ai suoi amici, ma in tutto il mondo. E così, ha lanciato un sito internet, in italiano e in spagnolo, dove quasi ogni mese pubblica i suoi articoli. “Il mio Perù” li raccoglie ora in un unico volume.
Chissà quale sarà il posto più strano di Huacho, Lima, o dintorni, dove si è ritrovato a scrivere questi brani. Non me lo ha raccontato. Ma il suo stile di scrittura, che fa leggere tutto d’un fiato i suoi libri, da trentatré anni a questa parte, è sempre lo stesso. Ogni capitolo è dedicato a un episodio o a una persona. Ritratti in punta di penna, tanti episodi e aneddoti. Quando li si legge, pare di essere lì con lui alle cinque processioni del Señor de los Milagros, a celebrare la Messa del Gallo, la mattina di Pasqua alle 4, o a celebrare la Messa in casa da solo, o assieme a Papa Francesco in visita in Perù. E ancora nel carcere di Carquin, per un torneo di calcio con i detenuti e a premiare i loro presepi, nella scuola di italiano che ha fondato o a bordo campo, a tifare per Kenyi e Sneyder, giovani promesse del pallone, che hanno iniziato da bambini, nelle squadre giovanili della parrocchia della Cattedrale di Huacho e ora sono stati accettati da due prestigiosi club di Lima.
In queste pagine si ride e si soffre con lui, come quando racconta della malattia che lo ha costretto a una lunga riabilitazione. E ci si commuove, quando si scopre che lui, medaglia d’oro Avis per cinquanta donazioni di sangue, si è ritrovato, nel momento del bisogno, dall’altra parte: calciatori e parrocchiani hanno fatto tre ore di strada per andare a donargli il sangue necessario per le operazioni all’ospedale di Lima.
Adesso, naturalmente, il nostro don – che come dice lui “è sempre andato in missione con il Calice e un paio di scarpe da calcio” – è di nuovo in pista, perché don Antonio è in moto perpetuo. Buona lettura.


Giovanna Maria Fagnani, giornalista del Corriere della Sera

PER CONCLUDERE

Siamo nel deserto della Quaresima, ho un solo desiderio: controllare la mia salute da possibili ricadute per poter celebrare la Messa del Gallo alle 4 del mattino dell’aurora pasquale.

Don Antonio Colombo

Huacho, 31 marzo 2019